Doppiamerda

Domanda bruta: il doppiaggio è un’arte? Risposta bruta: no.
Per come la vedo io il doppiaggio è solo una costituente tecnica al servizio dell’arte; che per certo si basa sull’arte della recitazione, ma da cui rimane slegata. È come un frullatore al servizio di un frappè alla banana: senza il frullatore il frappè non potresti farlo, ma quel che bevi è il frullato, mica il frullatore. In qualche modo il doppiaggio è un fenomeno negativo, per varie ragioni che tra poco illustrerò. Negativo, ma parzialmente necessario; per lo meno finché esisterà più di una lingua sul nostro bel pianeta. Se un giorno l’esperanto o l’interlingua dovessero diventare universali il doppiaggio sparirebbe, così come gli interpreti dell’ONU. Ma mentre aspettiamo quel giorno…

Mi piacerebbe parlare di questo argomento poco conosciuto quanto bistrattato perché è ormai qualche anno che ho iniziato a interessarmene. Curioso di sapere chi fossero le misteriose voci che si celavano dietro ai personaggi de I Simpson, ammetto che Internet è stata una preziosissima fonte d’informazione in materia, se non altro perché è pressoché l’unica. Dunque mi premeva pronunciare due parole.
Non che io ne sia un esperto – figurarsi -, ma è uno di quegli argomenti di cui le persone parlano molto sapendone praticamente zero. Due premesse:

  1. Perché esiste il doppiaggio? Ovviamente per necessità. Potremmo considerarlo l’equivalente cinematografico e televisivo delle traduzioni dei libri, ma per date ragioni viene applicato con modalità diverse. E anche con effetti diversi. Se infatti un traduttore di libri si deve preoccupare di tradurre fedelmente il testo che ha davanti, con accorgimenti vari, non incontra particolari problemi di spazio o di tempo. Con le debite eccezioni, si intende (p. e. Esercizi di stile di Queneau).
  2. Il doppiaggio ha dei lati negativi? Sì, ne ha tanti. E grazie al cazzo, aggiungerei! Per due ragioni, principalmente: una di carattere tecnico, data da fattori per lo più ineliminabili; l’altra da fattori di derivazione umana, quasi sempre eliminabili.

Non ho nulla contro il doppiaggio: penso sia, come ho detto, necessario per la comprensione di prodotti in lingue straniere. Ma è anche vero che, soprattutto in Italia, dovrebbe essere meno imperante e qualitativamente maggiore. Un po’ perché con il doppiaggio si perde sempre qualcosa, e un po’ perché influisce negativamente sull’apprendimento delle lingue straniere.

Quando si parla di doppiaggio va tenuto da conto che esiste una valida alternativa: i sottotitoli. Alternativa che presenta, a sua volta, lati positivi e negativi. Ad esempio, i sottotitoli hanno lo svantaggio di costringere lo spettatore a leggere per tutta la durata di un film. Immaginate in un cinema, in cui a volte non c’è neanche l’intervallo, dover leggere per tre ore di fila. È un dato di fatto che affatica tante persone; oltretutto un sottotitolo non permette di osservare le immagini con attenzione o di concentrarsi sulle espressioni del viso degli attori.
Detto ciò, i sottotitoli hanno l’innegabile vantaggio di un’enorme libertà espressiva e pochissimi vincoli tecnici: non devono seguire la sincronizzazione con il labiale degli attori originali e non devono convogliare tante parole in un lasso di tempo più o meno limitato. Ciò permette una fedeltà al testo originale che il doppiaggio nemmeno si sogna.

Già, perché proprio parlando di sincrono, questa è forse la più grande difficoltà incontrata dai doppiatori. Dell’adattamento da una lingua all’altra se ne occupa il dialoghista, che deve essere in grado di non tradire il copione originale. Una frase in inglese, riportata in italiano, ha bisogno di un uso di movimenti labiali assai differenti. E se si seguisse una traduzione letterale spesso si genererebbero incongruenze tra le labbra dell’attore e la voce del doppiatore: palesemente orrendo. Quindi occorre riadattare il testo originale dimodoché non avvenga quanto descritto, ma al contempo bisogna stare attenti a non modificare (nei limiti del possibile) il senso e l’atmosfera delle battute. Si può immaginare la difficoltà di ottenere un lavoro fatto bene.
Vi sono quindi dei limiti linguistici, spesso insuperabili (pensiamo ai giochi di parole). Tuttavia, gli stessi problemi a volte sono di natura umana, e non sono perdonabili. A volte derivano da errori banali, altre volte da lacune o persino malafede. Più che nei film, che solitamente ricevono un’attenzione qualitativa maggiore, sono problemi riscontrabili all’interno delle serie televisive.

Prendo, ad esempio, la nota sitcom Big Bang Theory. La serie statunitense, quando inizialmente sbarcò in Italia con la prima stagione, fu oggetto sul web di molte diatribe e proteste da parte dei fan della serie che si accorsero immediatamente del totale stravolgimento di innumerevoli battute di vari personaggi. Se infatti a volte è inevitabile mutare la struttura delle frasi, è sicuramente biasimevole tagliare o sostituire determinati e precisi riferimenti culturali o d’attualità. E proprio in Big Bang Theory questo è avvenuto frequentemente: videogiochi on-line che si trasformano magicamente in Scarabeo o qualche altra stronzata simile che nulla ha a che fare con lo spirito della serie.
Dopo i primi otto episodi hanno cambiato la direzione del doppiaggio ed è andata un po’ meglio, ma non troppo.

Ma questo è solo uno dei tantissimi casi di pessimo doppiaggio che viene effettuato in Italia, che pure a livello recitativo può contare sulla preparazione di ottimi attori. Ci troviamo di fronte alla malafede di chi traduce, per la pretesa di cambiare a proprio piacimento riferimenti e citazioni della cultura popolare.
Questi radicali cambiamenti sono dati dal pensiero che determinate allusioni alla cultura nerd in Italia non sarebbero comprese come all’estero. Ciò dimostra l’ignoranza di chi lavora in questo settore, visto che è proprio grazie al web che ormai anche la cultura (almeno quella occidentale) si è globalizzata sempre più, lasciando al passato quei netti confini territoriali a cui eravamo abituati. Ma mettiamo anche che gli adattatori abbiano ragione e che gli italiani siano così cretini: questo giustificherebbe ciò che hanno fatto? Io non credo. Per il semplice motivo che Big Bang Theory (o chi per essa) non è nostra, ma appartiene a qualche produttore americano che vuole solo che il suo show venga tradotto in italiano. Si parla di lingua, di idioma, di forma. Non di contenuto. Quindi, a discapito magari di una certa comprensibilità per il nostro pubblico, si dovrebbe lasciare il testo tradotto il più fedele possibile all’originale. E invece noi italiani, che fatichiamo ad ammetterlo ma abbiamo tanto spirito nazionalista becero, crediamo sia giusto arrogarci il diritto di modificare a nostro piacimento un prodotto che non ci appartiene.

La soluzione è molto semplice, in realtà: vuoi mettere tutti i riferimenti che vuoi? Ti crei la tua bella serie personale e non rompi i coglioni a chi cerca di fare il proprio lavoro.

Altre volte non si può parlare di malafede, ma solo di errori. Errori, comunque, triviali. In più di un’occasione me ne sono accorto, eppure non sono uno del settore. Prendo ad esempio un’altra sitcom: I Simpson. Precisamente l’episodio Springfield Files dell’ottava stagione. Nell’edizione italiana, riferendosi a un alieno, il dottor Hibbert chiede se l’essere sia a base “di carbone o di silicone“. Ma ha senso? Se avete studiato un minimo di chimica capirete la risposta. Il termine inglese silicon, utilizzato nell’originale, non significa “silicone”, bensì “silicio”, composto assai diverso; stessa cosa per carbon che diventa “carbone” in luogo di “carbonio”.
Altro esempio: spesso billion è tradotto con “bilione”, quando invece è il corrispettivo inglese di “miliardo”. Non pretendo che le persone conoscano alla perfezione l’inglese, ma chi lo utilizza sul posto di lavoro dovrebbe quantomeno prestare maggiore attenzione a quel che fa.

Ho detto che questo dell’adattamento è un problema che si presenta principalmente nelle serie televisive, ma anche nei film a volte non si scherza. Prendiamo Una notte al museo 2 – La fuga (che già di per sé è una merda): un intero dialogo tra Ben Stiller e Napoleone nell’edizione italiana è stato STRAVOLTO aggiungendoci addirittura dei riferimenti a Berlusconi, ovviamente del tutto assenti in inglese. Come se non ne avessimo già le palle piene di Berlusconi & co.

Un ultimo punto che vorrei affrontare brevemente: la recitazione.
In Italia possiamo vantare tantissimi doppiatori estremamente bravi (da Luca Ward a Dario Penne, da Massimo Corvo a Francesco Pezzulli, per non parlare dei vecchi Locchi, Rinaldi, Barbetti, ecc.). Tuttavia anche quello del doppiatore è un mestiere che richiede attenzione. Si verifica spesso un tradimento della voce dell’attore e quello del doppiatore. Non mi riferisco semplicemente a un cambiamento di timbro (che è normale), ma proprio a un modo di recitare che cambia completamente e ingiustificatamente tra attore e doppiatore.
Colpa in parte del doppiatore stesso, in parte del direttore di doppiaggio che evidentemente non dà indicazioni precise o corrette. È sicuramente un problema meno grave rispetto allo stravolgimento di un dialogo, ma è comunque una seccatura. Il primo esempio che mi viene in mente è Tonino Accolla, certamente bravo ma non esente da critiche. Doppiando Eddie Murphy, o anche Homer Simpson, si può notare come la sua recitazione a volte fosse completamente diversa da quella originale. Basta raffrontare le due versioni.
Mi si potrà dire che a volte il doppiaggio migliora l’edizione originale, e io rispondo che il compito delle società di doppiaggio è riportare in un’altra lingua un lavoro altrui, non migliorarlo né peggiorarlo. Che poi, voglio effettivamente vedere quante volte c’è stato un effettivo miglioramento col doppiaggio.

Penso d’aver delineato molto brevemente ciò che mi premeva di più. È un’estrema sintesi, perché altrimenti ci sarebbero decine d’altri esempi da portare o temi d’affrontare.

La conclusione del fatto è che il doppiaggio è qualcosa di utile e necessario ma non indispensabile. Mi piace guardare film doppiati, ma se voglio un’impressione corretta di ciò che sto vedendo devo per forza guardarlo in originale. E questo vale per tutti. Probabilmente nei cinema i sottotitoli non prenderanno mai il sopravvento, per la pigrizia (giustificata) delle persone (me compreso), ma almeno in televisione con le nuove tecnologie si può iniziare a dare la possibilità di scegliere se guardare un prodotto in italiano o in originale. Sky lo fa da dieci anni, ma purtroppo il sistema dei sottotitoli lascia molto a desiderare.

Grazie per l’attenzione.